martedì 21 ottobre 2008

Cioè, dico, guardate che posto!

Oggi io voglio andare qui. Ecco.

lunedì 13 ottobre 2008

Memories from Vietnam. (musica: The end - The Doors)

Gli elicotteri militari volavano bassi, avanti e indietro, senza sosta. E dietro, la giungla in fiamme. Un fumo nero da soffocare. Napalm, figliolo. Non c’è nient’altro al mondo che odora così. E anche questa volta li abbiamo respinti, sai? Ma quanto durerà? Hai avuto fegato, figliolo. Se tu non fossi andato in avanscoperta l’intero plotone sarebbe caduto nell’imboscata. Maledetti musi gialli. E maledetta questa giungla umida fatta di palme, palme e ancora palme, che ci costringe ad avanzare lenti a colpi di machete e a difenderci dalle imboscate di Charlie. Presto morirai, figliolo, qualche minuto al massimo. Ti hanno cacciato un intero caricatore nello stomaco, quei bastardi. Ma ti invidio. Perché sei un duro, adesso sei veramente un duro. Forse. Anche se non è servito a niente. Perché sai, a breve saremo costretti ad andarcene da qui. Abbiamo perso. E lo sapevamo fin dall’inizio. Il mondo ci vedrà in fuga, magari ammassati sulla scaletta che porta sul tetto della nostra ambasciata a Saigon, dove sarà pronto l’ultimo elicottero con le pale già in movimento. Conigli impauriti. Così, ci ricorderanno da queste parti. Perdenti. Oltre che invasori, naturalmente. E io ho paura, figliolo. Non di morire in questa fottutissima guerra, ma di sopravvivere dopo tutto quello che ho visto. Dopo i villaggi che ho incendiato, dopo le bambine dagli occhi a mandorla violentate dai nostri e poi bruciate vive, dopo aver visto te e molti altri dei miei uomini morire con le budella di fuori. Dopo le torture inferte e subite, dopo le marce massacranti durante la notte, dopo tutta la puzza chimica che ho respirato. Sto impazzendo. Ascoltami, figliolo. Ti prego. E bevi un sorso d’acqua dalla mia borraccia, cazzo, aspetta ancora un attimo prima di crepare. Ho paura di tornare a casa, perché questa guerra ci è entrata dentro, ci ha cambiati. Perché lo so che non riuscirò più a vivere senza i miei uomini. Perché lo so che non avrò mai più il coraggio di guardare i miei figli negli occhi. E lo so, già lo so che ogni notte mi sveglierò di soprassalto, con la testa martellata dal flap flap degli elicotteri e negli occhi il movimento ipnotico delle loro pale. E seduto nel buio della mia stanza, ci metterò un po’ a capire che invece si tratta soltanto dello stupido ventilatore da parete appeso sopra alla mia testa. Ora non mi senti più, figliolo, ma sappi che ti invidio. E che Dio ci benedica.

Gli elicotteri militari volavano bassi, avanti e indietro, senza sosta. E dietro, la giungla in fiamme. Un fumo nero da soffocare. Si chiama Vietnam, figliolo. Alla fine il Vietnam è tutto qui.

lunedì 6 ottobre 2008

Torino: altro giro, altra corsa.

Prima notte. Pur mancando il mio room-mate, non ero solo. Al di là del muro, infatti, un piccolo esserino mi teneva a suo modo compagnia. E la scena che si presentava era molto molto simile a questa.