domenica 29 giugno 2008

Cose così

Sono in Italia da 3 giorni e ci rimarrò fino a fine luglio.

Fa un caldo porco. Questo fatto, unito all’improvviso stravolgimento di ambiente, routine e ritmi di vita, sta causando la mia trasformazione in larva, in perenne sciabattare tra letto e divano.

Ho rivisto e rivedrò con piacere tante persone.

Alle 10 di sera fa già buio.

Qui esistono lavapiatti e bidet, per fortuna.

Non esistono invece i Singoalla e le kotbullar, purtroppo.

Non sono più capace a guidare.

Durante la mia assenza sono comparse 2 nuove rotonde, 1 nuovo semaforo e 1 nuovo supermercato. E una nuova automobile.

Il mio benzinaio mi ha guardato con aria perplessa quando, abbassando il finestrino, l’ho salutato con un caloroso “hej hej!”.

Ma quanto è grande l’aeroporto di Amsterdam?

Scrivo questo post sotto forma di elenco puntato, quindi vuol dire che sto ritornando nei panni del grigio ingegnere.

Questo va bene per Pippo.

Questo va abbastanza male in generale.

Non voglio fare quello che parla male a tutti i costi del suo Paese, perché detesto questo tipo di comportamento. Però un paio di cose le voglio dire, proprio perché amo l’Italia e mi dispiace vederla ridotta così.

In Italia non funziona niente. Poi è chiaro che uno ci fa l’abitudine, si rassegna, e non se ne rende più conto, ma la verità è questa: in Italia non funziona niente.

L’esercito pattuglia le strade delle principali città italiane. Questo non succede in nessun altro paese cosiddetto civile e occidentale, Israele a parte (ma là hanno ben altri problemi). E’ invece prassi comune in tutte le dittature odierne sparse per il mondo (e non venitemi a dire che la criminalità nelle città italiane è maggiore di quella delle banlieues parigine, o delle periferie di Londra, o del Bronx). Senza contare il fatto che far svolgere a dei soldati incarichi da nonno-vigile o da poliziotto di quartiere mi sembra abbastanza lesivo della loro dignità.

Mentre gli italiani si drogavano di Europei, Lui ha preparato una legge che, oltre a bloccare i restanti processi a suo carico in corso (gli altri li aveva già bloccati nelle legislature precedenti), vieta quasi del tutto le intercettazioni e limita fortemente la libertà di stampa. Solo per fare un esempio, se questa legge fosse già stata in vigore, i vari Moggi, Ricucci, Fazio, e anche i medici che ammazzavano i pazienti nella rinomata Clinica Santa Rita, non sarebbero mai stati scoperti e sarebbero tutt’oggi al loro posto a continuare i loro loschi traffici. E nessuno ne avrebbe mai saputo niente. Questa non è una cosa di destra o di sinistra: questa è una cosa sbagliata.
Sentitevi orgogliosi voi che l’avete votato.

lunedì 23 giugno 2008

Into the wild: Lapland & Me

Lapponia svedese. Terra di laghi e fiumi. Dove le distese di conifere cedono il posto ad arbusti bassi, muschi e licheni. La tundra. Terra di renne e di alci, di volpi e di orsi. E di zanzare feroci. Terra di cacciatori. Un’unica strada, un’unica ferrovia, ogni tanto una casa. In legno, naturalmente, con il muschio al posto delle tegole. Terra di vecchi Volvo scassati. Terra di miniere e di montagne innevate sullo sfondo, terra silenziosa. Di un silenzio infinito, irreale. Indigestione di carne di renna.

Lapponia norvegese. Terra di boschi rigogliosi e foreste di pini. E di mare. Terra di neve che si specchia nell’oceano atlantico. Dove la convivenza della calda corrente del golfo con il freddo polare crea un paesaggio da togliere il fiato, in un matrimonio perfetto tra mare e montagna. Terra di cacciatori di balene e pescatori, terra di fiordi. Casette colorate invecchiate dal sole e dal gelo. Indigestione di salmone affumicato.

Incredibilmente diverse, terribilmente suggestive. Natura selvaggia e incontaminata, a 200 km oltre il circolo polare artico. Più a nord di qui non c’è molto: Babbo Natale, Nordkapp, poi ancora il mare, poi i ghiacci polari. E poi Dio. La Lapponia è vedere paesaggi che non pensavo potessero esistere davvero, pur bazzicando la montagna fin da bambino. Perché non te la puoi immaginare finché non ci vai. Lapponia è non incrociare nessun’altra macchina per 120km, o scorgere in lontananza i resti di vecchi accampamenti Saami. E’ frenare di colpo e spegnere il motore, e guardare trattenendo il respiro una famiglia di renne gironzolare incuriosita intorno alla macchina e sbirciare dentro dai finestrini, e poi attraversare. E’ sdraiarsi sulla riva di un lago aspettando la mezzanotte, e vedere il sole ricominciare a salire nel cielo senza essere tramontato. La Lapponia è una terra difficile, al di là del clima. Che ti rimbambisce, ti sfasa. Perché qui non hai più punti di riferimento, non capisci più che ore sono, se è giorno o se è notte, se devi dormire o star sveglio, aver sonno oppure no, se devi dire ieri o oggi. Qui non capisci più niente. Ma più di tutto, la Lapponia d’estate è luce. Una luce che non ha eguali, che a parole non si riesce a spiegare, perché devi vedere, la devi vedere, perché se non vedi non credi, non sembra possibile. Una luce che è inutile farci le foto, che tanto non riesci a catturarla, a fermare in un click quella miriade di colori, di movimenti, di sfumature. Una luce che non ti da un attimo di tregua. Ti entra dentro, ti costringe a guardarla, ti obbliga, ti grida. E allora togli gli occhiali e apri gli occhi, e tienili spalancati più che puoi, anche se ti acceca, anche se ti fa starnutire, anche se speri e hai paura che servirà, fino a quando è di nuovo mattino, fino a quando il sole tramonta, fino al prossimo autunno, fino a quando diventerai grande, fino alla nausea, fino a quando non ce la fai più, che ti da fastidio, che sei quasi cieco, che è ora di andare.
Spalanca gli occhi a più non posso, per riempirti gli occhi di Svezia e non perderne nemmeno una goccia.

Perché dei colori come in Lapponia d’estate, io non li avevo visti mai.