domenica 30 marzo 2008

Lago Roxen

Che forse un pezzettino di felicità è anche questo.
Pedalare sotto la pioggia fino alla riva di un lago incontaminato, immerso nel silenzio più assoluto. E da un pontile di legno affacciarsi, e guardare. Bagnato e intirizzito, congelate le mani, due fessure gli occhi. Guardare. L’acqua scura increspata dal vento e le nuvole che scaricano pioggia. L’orizzonte sfumato di grigio, un masso che emerge poco distante, due cigni indifferenti che si allontanano. L’altra riva laggiù in fondo. Guardare, al di là del lago e al di là del cielo. Guardare al di là. Come forse i due cigni silenziosi e il masso solitario hanno già imparato a fare da tempo.
E in tutto questo, di nascosto, sorridere.



giovedì 27 marzo 2008

Toccata e fuga

Stoccolma in un solo giorno. Troppo poco, in assoluto. Troppo, pensando alle mille cose che già così vorrei scrivere. Alla rinfusa, alcuni stralci del nostro breve soggiorno.

Treno regionale da Linkoping. Che poi equivale a un nostro eurostar, come qualità: tavolino ogni due sedili, posti comodi, porte automatiche che si aprono quando le sfiori. E soprattutto puntualissimo, spacca il secondo.
Iniziamo la nostra visita dal municipio, per poi attraversare la città vecchia in direzione ostello. Per le vie della città vecchia ci sentiamo davvero a casa. Ristoranti italiani dappertutto, scritte in italiano ad ogni angolo. E’ proprio vero che siamo il popolo più babbo, che appena vediamo un'insegna nella nostra lingua madre ci precipitiamo. Esemplare il cartello: ‘Ciao amico! Compra un calzone al forno e una coca-cola e buon appetito!’. Vuoi mettere? Come può un Italiano Vero resistere a cotanta dimostrazione di affetto e amicizia!? Che polli… Noi che siamo astuti, invece, non ci facciamo abbindolare e, come da tradizione, per il pranzo scegliamo un posticino tipico e caratteristico: il primo Mc che troviamo.

Ostello. Stoccolma sud, quella più vivace by night, la zona preferita da Kent. Ricorda un po’ la Budapest dei larghi vialoni, delle mille razze, della sporcizia per terra e delle macchine zarre.
Un buco. Probabilmente abusivo, gestito da due aitanti africani e dalle loro amichette. Due stanze in tutto, una è la reception e l’altra la camerata. Che poi più che una camerata è una cameretta: 4 letti a castello ammassati uno sull’altro, giusto lo spazio per il passaggio di una persona alla volta. La reception è una stanza con divani leopardati (su cui sono mollemente adagiate due sorelle), una credenza con il necessario per la colazione e uno schermo al plasma. Alla parete è appesa una mappa formato gigante dell’Africa. Una delle ‘sista’ ci chiede se abbiamo intenzione di andare in Tanzania, per vedere elefanti, giraffe e altri luoghi comuni. Quando un innocente ‘where is Tanzania?’ riecheggia nell’aria l'imbarazzo riempie la stanza e la paura di essere accoltellati sul posto si fa più marcata. Ma è solo un’impressione, la matrona sorride compiaciuta e ce la indica sulla cartina, elencando le principali attrazioni del luogo. Che tanto per accoltellarci avranno tempo tutta la notte.
Non ci sono armadietti per chiudere le proprie cose. L’affabile proprietario mi dice, con fare alla ‘ehi bello, di me ti puoi fidare!’, che se ho qualcosa di valore lo posso consegnare a lui, che provvederà lui a tenerlo al sicuro fino al giorno successivo. Mentre rispondo che, no grazie ma non ho oggetti di valore con me, me lo immagino investire in tempo zero i proventi del mio portafoglio-fotocamera-passaporto in una partita di colombiana purissima. Ha l’aria talmente affidabile che decido in seduta stante che la notte dormirò con la giacca addosso e tutto nelle tasche.

Il pomeriggio lo dedichiamo alla parte moderna della città e alla visita del Vasa, sfigatissimo vascello del ‘600 affondato appena uscito dal porto, 5 minuti dopo il varo.
Piazza principale, ci lasciamo trasportare dall’ eterogeneo flusso di gente che popola la zona dei centri commerciali. Si va da variopinti gruppetti di punk, a manifestanti arrabbiati (ebbene sì, anche in Svezia fanno le manifestazioni!), a giovani amanti dello shopping. Per inciso, cercando un bagno riusciamo a perderci dentro H&M, uno dei più grandi del mondo.

Sera. I pub della zona sono pieni di gente, ci sono un sacco di giovani in giro. Dopo avere cenato con calma, girato due locali e bevuto due birre guardiamo l’ora, pronti per tornare in ostello. Sono le 21.30. Com’è possibile? Presi dallo sconforto iniziamo a passeggiare avanti e indietro senza una meta, decisi a tutti i costi a non arrenderci al tempo che non vuole passare. Nel frattempo perdiamo e ritroviamo un portafoglio, impariamo a memoria un motivetto alla fisarmonica, seguiamo due ragazze fino allo sportello del bancomat e ci malediciamo per avere portato dietro gli zaini. Infine ci infiliamo in un altro locale e, da spettatori, ci godiamo le altrui sbornie.

Arrivata con fatica la mezzanotte rientriamo in ostello. I fratelli tanzaniani stanno cenando. E meno male che gli avevamo chiesto le chiavi per poter tornare tardi la sera! Essendo i primi ad andare a letto assistiamo durante la notte all’arrivo di tutti gli altri ospiti dell’ostello. Per ogni ospite che arriva si ripete puntualmente la stessa scena: apre la porta chiacchierando a voce alta, accende la luce della stanza, si accorge della nostra presenza nel letto, dice ‘Oh, shit!’ e rispegne la luce. Insomma, tra il via vai, la giacca che indosso con le tasche gonfie, e il timore di essere accoltellato non passo una gran nottata.

Finalmente suona la sveglia, devo tornare subito a Linkoping per il ‘Russia meeting’. Mentre mi vesto, scopro con stupore che i due proprietari stanno dormendo nel letto accanto al nostro.
Ebbene sì, l’ostello in realtà è la loro casa!!


venerdì 7 marzo 2008

Some friends: Il Pigro

Vorrei presentarvi alcuni dei miei coinquilini (per motivi di privacy i nomi propri sono stati sostituiti da simpatici soprannomi).
Prima puntata: Il Pigro.

Il Pigro, uno dei primi che ho conosciuto, è un ragazzotto svedese che ama molto prendersela comoda e passare i pomeriggi e le serate sdraiato sul divano davanti alla TV. Vive nella camera in fondo al corridoio, quella più vicina alla cucina (c’è chi dice che l’abbia scelta apposta, in funzione della minor distanza tra letto e divano, o tra letto e frigorifero). Dal momento che trascorre molto tempo in cucina è, tra i miei coinquilini, uno di quelli con cui parlo più spesso. E in queste prime settimane ho avuto modo di apprezzare la sua pigrizia sotto diversi punti di vista.

Il Pigro cucina sul divano. Oddio, cucinare è una parola grossa (ma questo vale anche per noi...vero?), diciamo che in genere si prepara dei panini. Inizialmente predispone tutti gli ingredienti necessari e li allinea sul ripiano che divide la zona-sala dalla zona-cucina; dopodichè si sdraia soddisfatto sul suo divano preferito, guarda caso quello attaccato al suddetto ripiano. Da questa posizione strategica riesce quindi a prepararsi da mangiare semplicemente allungando le mani, senza fatica alcuna.

Al Pigro piace molto lo sport. Guardarlo in TV, intendo. Praticamente ogni tipo di sport, ad eccezione del calcio. In particolare il Pigro ama molto gli sport invernali. L’altro giorno ho guardato insieme a lui la discesa libera di coppa del mondo, e ho scoperto che è un grandissimo estimatore di Bode Miller. Quando scende Bode, il Pigro, in botta da adrenalina, fa persino lo sforzo di mettersi seduto sul divano (di solito sta sdraiato, naturalmente) e lancia grida di incitamento al suo idolo: “Go go!! Yes, fuckin’ good, Bode!” Notate come egli sia svedese, ma in queste occasioni perda totalmente il controllo della sua persona, dimenandosi e urlando in lingua inglese. Quando gli ho raccontato che durante le olimpiadi invernali di Torino Bode Miller, da vero atleta, passava le sue serate a ubriacarsi al Tabata, il Pigro si è molto divertito.

Il Pigro è capace di passare l’intero pomeriggio a guardare in TV una televendita, solo perché il nostro telecomando non funziona e non ha voglia di alzarsi a cambiare canale.

Il Pigro non ama lavare i piatti. Devo ammettere, a sua discolpa, che anche io non apprezzo molto questo genere di attività, ma oh, va fatto, e lo faccio. Lui no, ha trovato un sistema migliore. Terminato il pasto si alza dal divano, apre il suo armadietto (qui ciascuno ha in cucina un armadietto personale, dove tenere il proprio cibo) e vi ammucchia dentro il bicchiere, le posate e il piatto appena usato. Luridi, naturalmente. Poi, soddisfatto, richiude l’armadietto, con lo sguardo sornione di chi la sa lunga. Passano i giorni e la pila di piatti sporchi nella sua credenza si fa sempre più alta e pericolante (vi risparmio i dettagli sugli odori che si sprigionano da lì dentro…). Soltanto quando non c’è più posto nemmeno per una forchetta il Pigro, a malincuore, tira fuori tutto e si mette a lavare.

Quando gli ho chiesto se c’era una scopa in casa il Pigro mi ha risposto che non lo sapeva e mi ha confessato, con sguardo complice, che lui dall’inizio dell’anno non ha ancora fatto le pulizie in camera.

Ma nonostante tutto (o forse proprio per questo) il Pigro mi sta simpatico. Tra i miei coinquilini è uno dei pochi con cui riesco a chiacchierare, andando oltre le solite frasi di circostanza. Gli altri passano le giornate chiusi in camera, emergendo solo per cucinarsi rapidamente qualcosa.
Insomma, quando alla sera ritorno da scuola stremato dopo una giornata di duro lavoro su MSN e Facebook, la certezza di saperlo lì sul divano, intento a prepararsi gustosi panini al formaggio, mi fa subito sentire meglio.
Sì, mi fa sentire a casa.

mercoledì 5 marzo 2008

Arrival (with some delay)

Notte. Un’aria gelida ci accoglie appena usciti dall’aereo, ancora prima di toccare con piede il suolo svedese. Limpida, pulitissima. Un’aria sconfinata. E’ la prima a darci il benvenuto.
Kent, subito dopo. Kent è il mio peer-student, gentilmente venuto a prenderci all’aeroporto. Ci porterà in macchina fino a Linkoping, distante circa un’ora. E’ un tipo spisso, di poche parole, per di più pronunciate a un volume bassissimo; ha un aspetto cattivo, ma in fondo in fondo dovrebbe essere un buono. O almeno, così ci diciamo io e albi per farci coraggio. Per rompere il ghiaccio gli facciamo notare il gran freddo della serata. Lui risponde con un “It’s a warm winter” che chiude la conversazione, ma che è diventato presto uno dei nostri tormentoni di questi giorni.

Autostrada, guardo fuori dal finestrino contemplando il primo assaggio di Svezia. Foresta da entrambi i lati, sterminata. Aguzzo (...) la vista nel buio, in fremente attesa, per cercare di scorgere i branchi di renne tintinnanti, le distese di procaci ragazze bionde e gli enormi magazzini Ikea che tutti dicono essere numerosissimi in questa parte del mondo. Macché. Foresta da entrambi i lati. Non una casa, non una luce. Di tanto in tanto un tir carico di legname, che il nostro condottiero sorpassa con agilità. Foresta. E poi la luna.
La conversazione langue. Kent dice qualcosa, piano, tra i denti. Non capisco, e il metal che spara la sua autoradio di certo non aiuta. Sarà una domanda o una descrizione/spiegazione? Temporeggio. Sì dai, mi dico, sembra una descrizione. Rivolgendomi a lui, approvo fingendo grande interesse e curiosità per la cosa appena imparata. Stupito, lui ripete la frase. Era una domanda.
E la conversazione torna a languire.

Arriviamo al Ryds, che sarà la nostra casa per i prossimi mesi. Ci hanno assegnato due korridor diversi, anche se vicini. In breve, un korridor è un appartamentino con 8 camere affacciate su un lungo corridoio, con in fondo una zona comune (cucina-sala-ripostiglio-altro). Ci separiamo, ognuno a casa sua.

Il mio korridor è al piano terra, vicino all’ingresso dell’edificio. Apro la porta, tutto tace. Kent mi istruisce, devo togliermi le scarpe prima di entrare, qui si usa così. Slego i miei improponibili scarponi (utilissimi…) e li ripongo sullo scaffale. Vicino, solo scarpe da uomo. Con invidia, immagino albi sistemare i sui scarponcini, altrettanto improponibili, accanto a una parata di stivali da sera e scarpe col tacco. Faccio una rapida esplorazione della casa. Alle pareti poster di ogni tipo: Michael Jackson, Guns N Roses, cartelloni colorati inneggianti in lingue sconosciute (probabilmente inglese) a party e feste locali. L’area comune è accogliente, anche se un po’ sporca. Tornando verso la mia camera leggo sulle altre porte i nomi dei miei coinquilini. Tutti nomi maschili: Olof, Alexander, Michael... Di nuovo, immagino albi leggere sulle porte del suo korridor nomi come Natasha, Samantha, Michelle. Entro in camera. Prima impressione positiva, mi piace. Stanchezza. Svuoto rapidamente il trolley, spengo la luce e vado a letto.
E’ allora che me ne accorgo. Niente persiane, no tende alle finestre. E le veneziane, anche da chiuse, non possono molto, poverette.

Sospiro.
Il lampione esterno dell’ingresso mi fa compagnia in questa prima notte svedese.