mercoledì 5 marzo 2008

Arrival (with some delay)

Notte. Un’aria gelida ci accoglie appena usciti dall’aereo, ancora prima di toccare con piede il suolo svedese. Limpida, pulitissima. Un’aria sconfinata. E’ la prima a darci il benvenuto.
Kent, subito dopo. Kent è il mio peer-student, gentilmente venuto a prenderci all’aeroporto. Ci porterà in macchina fino a Linkoping, distante circa un’ora. E’ un tipo spisso, di poche parole, per di più pronunciate a un volume bassissimo; ha un aspetto cattivo, ma in fondo in fondo dovrebbe essere un buono. O almeno, così ci diciamo io e albi per farci coraggio. Per rompere il ghiaccio gli facciamo notare il gran freddo della serata. Lui risponde con un “It’s a warm winter” che chiude la conversazione, ma che è diventato presto uno dei nostri tormentoni di questi giorni.

Autostrada, guardo fuori dal finestrino contemplando il primo assaggio di Svezia. Foresta da entrambi i lati, sterminata. Aguzzo (...) la vista nel buio, in fremente attesa, per cercare di scorgere i branchi di renne tintinnanti, le distese di procaci ragazze bionde e gli enormi magazzini Ikea che tutti dicono essere numerosissimi in questa parte del mondo. Macché. Foresta da entrambi i lati. Non una casa, non una luce. Di tanto in tanto un tir carico di legname, che il nostro condottiero sorpassa con agilità. Foresta. E poi la luna.
La conversazione langue. Kent dice qualcosa, piano, tra i denti. Non capisco, e il metal che spara la sua autoradio di certo non aiuta. Sarà una domanda o una descrizione/spiegazione? Temporeggio. Sì dai, mi dico, sembra una descrizione. Rivolgendomi a lui, approvo fingendo grande interesse e curiosità per la cosa appena imparata. Stupito, lui ripete la frase. Era una domanda.
E la conversazione torna a languire.

Arriviamo al Ryds, che sarà la nostra casa per i prossimi mesi. Ci hanno assegnato due korridor diversi, anche se vicini. In breve, un korridor è un appartamentino con 8 camere affacciate su un lungo corridoio, con in fondo una zona comune (cucina-sala-ripostiglio-altro). Ci separiamo, ognuno a casa sua.

Il mio korridor è al piano terra, vicino all’ingresso dell’edificio. Apro la porta, tutto tace. Kent mi istruisce, devo togliermi le scarpe prima di entrare, qui si usa così. Slego i miei improponibili scarponi (utilissimi…) e li ripongo sullo scaffale. Vicino, solo scarpe da uomo. Con invidia, immagino albi sistemare i sui scarponcini, altrettanto improponibili, accanto a una parata di stivali da sera e scarpe col tacco. Faccio una rapida esplorazione della casa. Alle pareti poster di ogni tipo: Michael Jackson, Guns N Roses, cartelloni colorati inneggianti in lingue sconosciute (probabilmente inglese) a party e feste locali. L’area comune è accogliente, anche se un po’ sporca. Tornando verso la mia camera leggo sulle altre porte i nomi dei miei coinquilini. Tutti nomi maschili: Olof, Alexander, Michael... Di nuovo, immagino albi leggere sulle porte del suo korridor nomi come Natasha, Samantha, Michelle. Entro in camera. Prima impressione positiva, mi piace. Stanchezza. Svuoto rapidamente il trolley, spengo la luce e vado a letto.
E’ allora che me ne accorgo. Niente persiane, no tende alle finestre. E le veneziane, anche da chiuse, non possono molto, poverette.

Sospiro.
Il lampione esterno dell’ingresso mi fa compagnia in questa prima notte svedese.


Nessun commento: